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Coltivava cannabis in giardino, assolto perché dimostrato l’uso personale

Coltivava cannabis in giardino, assolto perché dimostrato l’uso personale e terapeutico

Altra sentenza importante per i coltivatori di cannabis. Un commerciante della città di Careggi (Firenze) 
è stato assolto dal tribunale di Firenze. Il fatto risale al 2015 quando, a seguito di una segnalazione 
anonima, il commerciante venne tratto in arresto per coltivazione di 18 piante di cannabis nel giardino 
della propria abitazione. Il giudice del capoluogo toscano, Dott. Fabio Attinà, ha provveduto 
all'assoluzione dell'imputato poiché è stato dimostrato l'utilizzo personale e terapeutico della 
cannabis coltivata. Vi riportiamo l'intervista, rilasciata ai microfoni di Soft Secrets Italia, 
all'Avv. Francesco Stefani, che ha assistito l'accusato in collaborazione con l'Avv. Fabio Generini.

Ci racconterebbe cosa è esattamente accaduto al vostro assistito 6 anni fa?

Su segnalazione presumibilmente di un vicino di casa, poiché la fonte è rimasta anonima, si sono presentate le Forze dell’Ordine presso l’abitazione di questa persona. A seguito della perquisizione effettuata hanno rinvenuto della cannabis contenuta in un barattolo (7,72 grammi) e, successivamente ad un sopralluogo nel terreno ubicato sul retro dell’abitazione, sono state altresì rinvenute 18 piante della medesima sostanza. É stato, quindi, contestato il reato di coltivazione ai fini di spaccio visto l’ingente quantitativo rinvenuto e, soprattutto, il potenziale di materiale stupefacente ricavabile.

 

Come si sono sviluppate le fasi del processo per l’imputato?

Il processo è andato avanti su due binari. Da una parte abbiamo fin da subito cercato di dimostrare l’utilizzo personale, aggiungendo anche uno scopo terapeutico di tale uso, poiché il nostro assistito era affetto da dolori cronici derivati da un incidente. Dall’altro lato si è puntato sul fatto che non si poteva parlare di una coltivazione di natura “imprenditoriale”, bensì si trattava semplicemente di natura prettamente domestica. In questo caso sono, comunque, sorti i primi problemi con le autorità giudiziarie. Il pubblico ministero aveva, infatti, richiesto la condanna a 1 anno e mezzo di reclusione perché, secondo la sua tesi, si poteva parlare soltanto di coltivazione ai fini di spaccio visto il numero di piante e il potenziale quantitativo ricavabile. La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha contribuito a far chiarezza sulla materia. Sono stati delineati gli indici da guardare per comprendere effettivamente se una coltivazione sia penalmente rilevante oppure di natura domestica. I parametri da tenere in considerazione sono il numero di piante, l’estensione del terreno ove sono coltivate e le tecniche utilizzate per la coltivazione (più sono rudimentali più è dimostrabile la reale destinazione d’uso di quanto seminato e raccolto).

 

Le piante coltivate dal vostro assistito erano in fase di fioritura?

Erano già in fase di fioritura 2/3 delle piante, mentre le rimanenti completarono la propria fase di generazione dei fiori una volta poste sotto sequestro. Secondo la pubblica accusa il quantitativo eccessivo di cannabis, ricavabile dalla coltivazione del nostro assistito, non poteva essere destinato all’utilizzo personale. Si sono quindi create delle divergenze di opinioni con conseguente rinvio a giudizio dell’imputato. Tuttavia, quanto stabilito dalla Cassazione, può portare anche a scagionare soggetti imputati di aver coltivato anche un numero maggiore di piante, qualora i parametri precedentemente citati e la destinazione d’uso personale possano essere ampiamente dimostrati.

 

In virtù della sentenza che vi ha visti coinvolti, pensa che ci possa essere una sorta di speranza per coloro che coltivano cannabis ad uso personale?

Assolutamente sì. Continuano ad esserci sequestri e indagini per malcapitati trovati con molte meno piante del nostro caso, ma le condotte vengono spesso ritenute penalmente irrilevanti. Le coltivazioni, d’altronde, o sono “imprenditoriali” o sono domestiche. Se le piante vengono coltivate senza tecniche all’avanguardia e senza grandi terreni adibiti, quanto stabilito dalle Sezioni Unite, può portare a evitare la condanna. Certamente si possono tutt’ora avere dei problemi dal punto di vista amministrativo, in quanto assuntori di sostanze stupefacenti. Ho personalmente la speranza che questa sentenza di Firenze possa fare da ulteriore apripista a casi analoghi. Sottolineo, comunque, che non tutti i giudici dello stesso capoluogo toscano hanno aderito a questo orientamento e, purtroppo, le condanne proseguono anche per situazioni molto minori alla nostra. Se invece uscissero fuori ulteriori sentenze analoghe alla nostra si aprirebbe un orientamento consolidato con situazioni di merito che eviterebbero di aprire questo tipo di processi.

credit : https://softsecrets.com/it

 

 

 

 

 

 

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